Wednesday 9 December 2015

Et l'Europe alors / Un report dall’Europa dei lager




VIAGGIO ALLA FRONTIERA per la liberta’ di movimento 
Ljubljana Calling
Sentilj - Spielfeld 31 Ottobre 

Un report dall’Europa dei lager

Ljubljana Calling. Sabato mattina arrivo a Ljubljana a ROG, pensavo a un incontro tra vari attivisti in un punto di riferimento per aggiornamenti e consigli logistici e invece trovo una grande assemblea - siamo di nuovo almeno in cento, attivisti sloveni e piccoli gruppi di varie citta’ italiane e da diversi paesi che si sono organizzati per tornare sui confini, lo stesso giorno. dopo la Open Borders Caravan siamo tornati tutti - e’ diventata quasi una necessita’, quasi non si possa fare altro.
Ma la situazione ora e’ diversa. Ora i nazisti austriaci hanno organizzato un presidio razzista a Spielfeld. Facciamo una contro manifestazione - contro i nazisti, contro le frontiere, contro la militarizzazione, contro isolamento e deportazione, contro la reclusione dei viaggiatori in un mondo parallelo dove non esistono diritti umani. Per la liberta’ di movimento - di tutti. 

Poi andiamo incontro ai migranti - ma ora e’ diverso. Ora tra Sentilj e Spielfeld c’e’ una vasta area militarizzata, paesaggio da zona di guerra, profonda militarizzazione. Ora non ci fanno avvicinare - ai migranti. I migranti - viaggiatori eroici - vengono isolati in recinti, rinchiusi, bloccati al gelo, poi condotti come bestie in corridoi di reti, reticolati, sorvegliati da esercito e polizia, da mitra, camionette, agenti su piantane si elevano sulla no man’s land - sagome nere a gambe larghe e arma imbracciata di traverso svettano su una folla indistinta confusa tra fumi di plastica bruciata contro il freddo.

Si chiama no man’s land - terra di nessuno. Nessuno per portare aiuto. Nessuno puo’ entrare, distribuire acqua o cibo o coperte. Nessuno prestare soccorso. Terra di nessuno, ma qualcuno c’e’ - e molta molta gente infatti - a tenerci i migranti rinchiusi, a impedirci di entrare. Cosi’ tanti mitra intorno a questa terra di nessuno, che dunque e’ di qualcuno. Questa e’ la terra di Europa, terreno emblematico delle politiche europee, confine estremo al confine tra due confini che non dovrebbero piu’ esistere, tra Austria e Slovenia. Confino atroce nel cuore dell’Europa per chi la sognava e poi finalmente la ha raggiunta…eccola. Atroce nel cuore.

Poco distante il campo attrezzato, che ovviamente non basta per tutti. Infatti per pochi per volta. Anche quello e’ organizzato in stile militare e ci si attiene alla burocrazia del soccorso. Polizia e Croce Rossa decidono se e chi entra e chi bloccare. Il camion da Ljubljana carico di aiuti viene bloccato da una volante e non puo’ raggiungere i migranti al freddo. L’aiuto e’ indispensabile ma viene respinto dalle autorita’. Qui magazzini pieni di coperte e poco distante gente congelata da otto ore notturne di attesa - ma quelle coperte non possono essere portate fuori dal campo. Qui magazzini di abiti e li’ gente che ha freddo, qui cibo e acqua e li’ persone che hanno fame e sete - ma non si puo’ fare quello che e’ necessario. Qui ambulanze e la’ gente che sta male e che non viene soccorsa.

Riusciamo a entrare nel campo vestiti da volontari e consegniamo il materiale raccolto. Ora si deve riuscire a ingannare o aggirare le autorita’ - la polizia e la Croce Rossa che detiene il monopolio degli aiuti, lobby mafiosa dell’assistenza inefficace. Altrimenti - per aiutare ci si deve registrare, devi cambiare il tuo aspetto dando chiari segni esteriori - nell’abbigliamento e nelle modalita’ - che accetti una parte nell’assurdo meccanismo che le direttive governative hanno creato, che accetti d’inquadrarti in quelle regole e procedure dissennate. 

E’ S. che ci fa' entrare e poi restare ad a organizzare il materiale. S. e’ un volontario indipendente arrivato dal mattino e registrato con pass, si muove nel campo come uno che lo conosce bene - poi capisco che sta facendo tutto quello che e’ naturale fare, cioe’: tutto quello che non e’ permesso fare. Grande. Prende medicine e cibo dal magazzino del campo e li porta nella no man’s land. Fa’ avanti e indietro e distribuisce coperte e acqua. A mezzanotte mi porta a vedere - per aiutarlo dice - ma infatti per fotografare, per vedere l’inimmaginabile, per assistere alla sua discussione con il responsabile della Croce Rossa austriaca che di nuovo ha abbandonato una donna che stava male per ancora un’altra omissione di soccorso (e qualcuno la prendeva anche in giro), per farmi sentire cosa dicono i soldati… che non si puo’ entrare ad aiutare - perche’? ma perche’ quella e’ la no man’s land!

Scenario post nucleare. L’aria opaca e irrespirabile, odore chimico e greve, residui di materiali bruciati dappertutto. Io non posso descriverla.

E intorno - luci di sirene, vuoto, la gente non passa piu’ nelle strade deserte dove ci aggiriamo solo noi - attivisti vestiti da volontari - e militari di vario tipo. Sulla ferrovia oltre la strada le ruspe scavano per installare altre reti metalliche lungo i binari , trasformati in un altro corridoio con un’apertura per una stazione speciale davanti all’ingresso del campo. Opere pubbliche in corso, si ridisegna un’urbanistica da deportazioni efficaci. Il paesaggio e’ un pianto, pianto di un non-luogo di non-amore di non-uguaglianza di non-diritti - di niente. Freddo.

E io passo i miei due sacchi a pelo offerti da un’amica di Cesena oltre la rete. E li consegno ai viaggiatori. 

                                 
Nhandan Chirco 
FACK / Et l’Europe alors
3 nov 2015






TRAVEL TO BORDER for freedom of movement
Ljubljana Calling
Sentilj - Spielfeld October 31st. 

A report from Europe of lager

Ljubljana Calling. Saturday morning I arrived in Ljubljana to Rog, I thought about a meeting between various activists for updates and logistical advice and instead I find a great assembly - we're back at least a hundred activists from Slovenia and small groups of various Italian cities and from different countries who have just organized themselves to return on borders, on the same day. After the Open Borders Caravan we returned all - and it became almost a necessity, as if no one of us could do otherwise.

But the situation now is different. Now the Nazis organized a racist garrison in Spielfeld. We make a counter demonstration - against the Nazis, against borders, against militarization, against isolation and deportation, against the imprisonment of travellers in a parallel world where there are no human rights. For the freedom of movement - of all.

Then we go to meet the migrants, to deliver aids - but now it is different. Now between Sentilj and Spielfeld there is a large militarized area, landscape from a war zone, deep militarization. Now they do not let us to get closer - to the migrants. The migrants - heroic travellers - are isolated in pens, locked, blocked frost and then led like beasts in the corridors of nets, fences, guarded by the army and police, from machine guns, jeeps, agents on pedestals rise on the no man's land - black silhouettes legs large and holding weapon sideways towering over a crowd indistinct blurred between fumes of burning plastic burned against the cold.

It is called the no man's land - no man's land. no one to help. No one can enter, nor distribute food or water or blankets. No relief operations. No man's land, but someone is there - and many many people in fact - to keep migrants detained, to prevent us from entering. so many machine guns around in this no man's land, and therefore that's someone’s. This is the land of Europe, emblematic land of European policies, extreme border on the edge of two borders that should no longer exist - between Austria and Slovenia. Atrocious confinement in the heart of Europe to those who dreamed of it and then finally reached it ... here it is. Atrocious to the heart.

Nearby there is the equipped camp, which obviously is not enough for everyone. In fact just for a few at a time. and also that is organised kind of militarily and sticking to the bureaucracy of aid. Police and Red Cross decide whether and who gets in and who to block. The truck from Ljubljana loaded with aids is blocked by the police and can not reach the migrants in the cold. the assistance  it is quite needed but it is often rejected by the authorities. Here warehouses full of blankets and not far people frozen after eight hours waiting outdoor at night - but those blankets can not be moved out of the camp. Here clothing stores - and there people who have cold, here food and water and there people who are hungry and thirsty - but we are not allowed to do what’s necessary. Here ambulances and there people who are ill and who are not rescued.

We succeed entering the camp dressing as volunteers and we deliver material collected in Italy. 
Now you should be able to deceive or circumvent the authorities - the police and the Red Cross - a lobby that has the monopoly of the aid - of the ineffective assistance. otherwise now who wish to help have to register, change the clothes and give clear outward signs - in clothing and in mode - that he is accepting to take a role in the absurd mechanism that governments guidelines have created, to accept their insane rules and procedures.

It has been S. who made us enter and then to stay for sorting clothes. S. is an independent volunteer arrived in the morning and registered with pass, he moves in the camp as someone who knows it well - and then I understood that he was doing all that it is natural to do and that none is allowed to do. Great. He takes medicine and food from the warehouse of the camp and brings them into no man's land. He goes back and forward subtracting things from the warehouse and distributing blankets and water. around midnight he leads me in to see - to help, he says - but in fact to take pictures, to see the unimaginable, to attend his discussion with a head of the Austrian Red Cross which again gave up a woman who was sick - for yet another failure rescue (and someone even joke at her), to let me hear what the soldiers say ... that you can not give help - why? because it is the no man's land.

Post-nuclear landscape. Opaque and unbreathable air, and heavy chemical smell, residual materials burned everywhere. I can not describe it.

And around - lights sirens, emptiness, people do not pass anymore in this deserted streets where we roam just us - activists dressed as volunteers - and the military of various types. On the railroad across the road the bulldozers are digging to install some other wire nets along the tracks, turned into another corridor with an opening for a special station right at the entrance of the camp. Public works in progress, redrawing urbanism for effective deportations. The landscape is a crying, the crying of a non-place of not-love, not-equality, not-rights - nothing. cold.

And I pass my two sleeping bags offered by a friend from Cesena over the net. and I give them to travellers.
                               

Nhandan Chirco
FACK / Et l’Europe alors
3 Nov 2015

http://europealors.blogspot.it/p/blog-page.html












Sunday 25 October 2015

OPEN BORDERS CARAVAN - Report il giorno dopo



OPEN BORDERS CARAVAN - Report il giorno dopo

Open Borders Caravan una notte insonne. 200 persone da diversi  paesi, venuti come attivisti piu’ che come volontari, partiti per un’azione politica, per dare sostegno soprattutto premendo sulla frontiere in un confronto impari e disarmato con le forze dell’ordine, per aiutare i migranti a passare a piedi o magari in macchina. Al contatto diretto la realta’ che troviamo travolge le nostre aspettative e i nostri piani, la complessita’ della situazione si espande ancora, situazione in continua mutazione, fatta di flussi che cambiano percorso, di direttive di chiusura e di apertura arbitrarie e imprevedibili. Le politiche della chiusura dei confini cozzano con la pratica del transito sommerso organizzato in accordo tra i diversi Governi con la collaborazione delle polizie dei vari Stati, la gestione di percosri invisibili e il supporto logistico hanno il colore e le atmosfere della deportazione, binario parallelo dove i diritti civili e le minime norme di umanita’, salute e sicurezza non esistono piu’. Masse di gente mossa come mandria, qualcuno senza scarpe, tutti senza acqua e senza cibo, non c’e’riparo da pioggia freddo e fango, con molti bambini a piedi e in braccio, indirizzati da cordoni di polizia tra i boschi a ritmo veloce e obbligato, verso valichi di confine costituiti da 3 metri di filo spinato tagliato dove si passa tre per volta sotto il controllo degli agenti. Poi caricati in un altro treno che parte solo quando pieno da scoppiare non si sa per dove,  che si ferma di nuovo nel mezzo della campagna, nella notte si deve scendere senza sapere neanche in che Stato ci si trovi. Il percorso obbligato e’ attraverso l’Ungheria, non a caso dove l’apparato repressivo e’ dispiegato al massimo del suo potenziale, con la proclamazione dello stato d’emergenza e l’autorizzazione a esercito e polizia a fare fuoco su chi attraversa i confini illegalmente. Gli agenti dicono di scendere dal treno megafonando in inglese e tedesco – tutti  fuori. Fuori nella notte tra i campi. Al passaggio del corteo  c’e’ un odore greve,  persone che da giorni non possono lavarsi. Alcuni mi chiedono se questa e’ l’Ungheria e gli dico che no, siamo in Croazia, mi chiedono dove li stanno portando – per 4 km a piedi - e dico che credo in Ungheria e poi verso l’Austria ma che non lo sappiamo perche ad ogni momento tutto puo’ cambiare. Nessuno e’ sicuro di niente. Vengono da Siria, Kurdistan, Afghanistan –  sono i nomi delle nostre guerre. Ad aspettarli al treno cordoni di polizia, pompieri, un ambulanza, luci di sirene che abbagliano e confondono, non c’e’ cibo ne acqua, agenti con caschi guanti e cuffiette antipidocchi - oltre a quelli non c’e’ nessuno. Sabato notte c’eravamo noi, che alla fine non abbiamo fatto cortei e cordoni perche’ non chiudessero anche quel valico – infame ma precariamente aperto – lasciando la gente al gelo umido per giorni, come succedeva a Opatovac settimana scorsa,  come davanti a frontiere blindate dove  migliaia di persone restano in attesa per giorni, picchiate all’occorrenza. L’intelligenza si manifesta anche nel sapere cambiare il proprio programma se e’ il caso. Abbiamo distribuito quanto possibile, giacche, scarpe, assorbenti, cibo e acqua e quant’altro. Un vecchio con in braccio un bimbo in una coperta e una bambina in spalla e due al fianco cerca scarpe che gli entrino perche’ ne ha una sola. Corro con una torcia elettrica tra polizia, migranti e attivisti che mi propongono giacche e cibo a cercare questa scarpa tra le mucchie e forse gia’ questa sola scarpa ora vale per me i 600km di viaggio. Il contatto diretto destabilizza la distinzione rigida tra azione politica e umanitaria, impossibile fare un copy paste di schemi conosciuti su un terreno che e’ piu’ forte, nuovo, diverso e sempre in trasformazione.  La realta’ che incontriamo scuote i nostri problemi identitari, ci riporta al confronto con noi stessi e poi a scavalcarlo e finalmente all’ esserci, vedere, agire, entrare in rapporto. La frontiera ufficiale e’ chiusa, vuota, non si passa, non ha senso andarci, non c’e’ nessuno, niente da vedere. I migranti stavano passando altrove -  onde di spinta e conquiste loro in altri orari e in altri luoghi gli aprono varchi in posti imprevedibili e di durata indeterminata con la collaborazione di Stati che da un lato non rinunciano all’idiozia delle politiche di chiusura, ma nella pratica si sanno gia’ sconfitti - sanno di non poterle attuare e aggirano con sotterfugi e segretezza le loro stesse leggi,  infliggono ai viaggiatori questa pena inutile per salvare la facciata delle dichiarazioni ufficiali. Stati che funzionano su doppio binario, su un mondo parallelo fuori dalla propria legge e soprattutto tenuto  invisibile al mondo ufficiale - mondo di lager e di treni speciali e di filo spinato e di megafoni nel buio.  Andare, prima di tutto. Attuare nella pratica pratiche opposte a quelle delle politiche governative. Partecipazione e mobilitazione diretta per dire welcome piangendo e gridando che siamo qui con voi e saremo a Bruxelles a dire basta e torneremo domani ad aspettarvi al treno e ad accompagnarvi e a spingere con voi sulle reti quando e’ il momento. Andare, essere con loro. Questa e’ partecipazione ed ha valore politico - pratiche dal basso, di contrasto, di solidarieta’ di un’ altra non-Europa-fortezza. Il terreno d’azione con cui si concludeva la carta di Lampedusa: aprendo alle pratiche, all’iniziativa diretta - una nostra diversa legislazione da mettere in atto, la sola a cui rispondiamo e opposta alla criminalita’ delle leggi ufficiali. Andare. Quando c’e’ la compresenza dei corpi,  quando un oggetto passa da una mano all’altra si rompe l’incantesimo della distanza mediatica, che mentre ci da tutte le informazioni e ci fa’ sapere (quasi) tutto allo stesso tempo misteriosamente ci allontana e ci separa in mondi non comunicanti. La membrana si lacera e tutto questo ora e’ qui nello stesso spazio tempo. E tutto cambia ancora. (28/9/2015)

Nhandan Chirco
FACK / Et l’Europe alors 

Open Borders Caravan                                                              
                                                                                         

Opatovac e Bapska / Settembre 2015
Foto - Francesco Giusti



Thursday 22 October 2015

evento WHAT FOR? > Artoni nuoce alla salute!



WHAT FOR? > Artoni nuoce alla salute!
@ Magazzino Parallelo – V. Genova 70, Cesena
24 Ottobre 2015 - h 18.30 – 24


Serata solidale 
a sostegno della Cassa di Mutuo soccorso dei lavoratori Artoni e Astercoop 
in lotta per il diritto alla salute sul luogo di lavoro.

h 18.00 - ASSEMBLEA PUBBLICA con i lavoratori e le lavoratrici dell’ADL Cobas E.R. sulla vertenza Artoni: diritto alla salute sul lavoro, diritto allo sciopero, reintegro subito!

h20.00 – CIBO a cura dei lavoratori e delle lavoratrici di ADL Cobas E.R.
MOSTRA FOTOGRAFICA > Mai schiavi – di Coral Hameli

h 22.00 – 24.00 - IN CONCERTO >  Radio Maria + Ponzio Pilates + Zion Punk Foundation / Madiba Sound Family / D-Operation Drop 

Tutti i fondi raccolti nella serata andranno alla Cassa di Mutuo Soccorso dei lavoratori Artoni e Astercoop in lotta. Ingresso - sottoscrizione a offerta libera  Cibo - 6 euro

L’evento e’ realizzato grazie alla sinergia tra Associazione Lavoratori / Lavoratrici ADL Cobas E.R., Magazzino Parallelo, FACK e  le/gli artist*, attivist* e cittadin* del mondo partecipanti.


ADL Cobas E.R. e le lotte all'Artoni 
I motivi della lotta dei lavoratori Artoni di Cesena: reintegro subito! Chiediamo il ricollocamento IMMEDIATO dei lavoratori espulsi dal magazzino Artoni perche’ colpevoli di avere lottato per il rispetto delle leggi che tutelano la salute nei luoghi di lavoro. A seguito di una situazione insostenibile per i lavoratori di Stemi Logistica Soc. Coop. e Artoni - dovuta a carichi di lavoro eccessivi, alla rappresaglia antisindacale e al mancato acquisto di alcuni dispositivi di sicurezza necessari per svolgere il lavoro senza arrecare danni permanenti alla salute, nonché a strategie economiche/finanziarie da parte di Artoni volte ad eliminare i lavoratori che hanno rifiutato di piegarsi ai ricatti - la cooperativa Stemi Logistica, ha deciso in accordo con Artoni di mettere in ferie fino alla fine di agosto tutti i lavoratori con l’ipotesi di attivare a partire dai primi di settembre la Cigs in deroga. Questo ci mostra il vero ruolo del socio lavoratore: nascondere un rapporto di lavoro dipendente e subordinato all’effettivo datore di lavoro che è il committente - in questo caso Artoni - per estrarre maggiori profitti dal lavoro vivo e rendere più ricattabili i lavoratori. Invitiamo la cittadinanza solidale e le realta’ territoriali a un’assemblea pubblica per creare coesione e percorsi comuni riguardo alle lotte lavorative, contro l’aggravarsi delle condizioni di sfruttamento e precarieta’ nei diversi settori e per contrastare le misure repressive messe in atto nella provincia, che hanno buon gioco nell’isolamento e nella separazione tra chi avanza rivendicazioni che riguardano di fatto i diritti di tutti i lavoratori e le lavoratrici. Verso lo sciopero nazionale della logistica del 30 ottobre 2015 generalizziamo e socializziamo le lotte!

Nb. Il ricavato di tutta l’iniziativa andrà a sostegno della Cassa di Mutuo Soccorso per i lavoratori Artoni necessaria per sostenere alcune spese (bollette, visite mediche, contributo per l’affitto) viste le enormi difficoltà economiche che stanno incontrando a seguito della rappresaglia agita da Artoni e Stemi Logistica contro le lotte per la salute e la dignità in questo cantiere della logistica e l’espulsione dei 28 lavoratori dal cantiere di Pievesestina.


WHAT FOR?  E’ un momento di incontro tra persone attive in aree differenti – arte e cultura, politiche del lavoro, attivismo, temi sociali – tra artisti, attivisti, lavoratori italiani e stranieri, migranti, studenti, per condividere pratiche artistiche e culturali, per una riflessione artistica e politica su problematiche alimentate dalla crisi globale che riguardano di fatto ognuno di noi, per produrre connessioni fra le varie soggettività che si stanno articolando contro il sistema neoliberista, per creare conoscenza reciproca, delineare le aree di un discorso comune, sviluppare sinergie e azioni condivise. WHAT FOR si interroga sul perché – what for? - del nostro agire artistico-politico-sociale nel contesto delle attuali politiche di repressione - o di sussunzione - attuate dalle governance territoriali e extra-nazionali. La produzione culturale innovativa spesso viene catturata diventando involontariamente funzionale alle politiche e alle governance neoliberiste. Come possiamo rapportare il lavoro artistico a ambiti di lotte e d’attivismo sociale, entrando in una relazione di permeabilita’ reciproca, attuando processi capaci di trasformarne la valenza, scoprendo e alimentando prospettive comuni di trasformazione sociale, politica e culturale?  http://fackfestival.blogspot.it/2015/02/open-call-what-for.html


cell. 347 2641040
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Ph.  Alessandro Mazza

Sunday 19 July 2015

What For? > contributi - Tutta l'Italia e' paese - da Roberta - Cavallerizza Reale Assemblea 14:45
















TUTTA L’ITALIA E’ PAESE

Le politiche applicate a Torino hanno molto in comune con quelle applicate a Rimini, Napoli, Roma, Palermo e così via.
E’ la politica Renziana (liberista) che sta invadendo tutte le nostre città senza alcuna riserva, in modo piuttosto veloce anche.
Il grande Partito Democratico, che aspira a diventare Partito della Nazione, facilitato dalla grande spianata applicata dagli anni di Berlusconi, sta facendo passare riforme del lavoro e della scuola, costruzione di grandi opere e grandi eventi senza difficoltà alcuna.
Molti di noi si chiedono come sia possibile che il Governo promuova il lavoro volontario, si pensi ai 18.000 volontari per Expo2015 e al Jobs Act che lo regolamenta ad esempio, e farlo, di nuovo, senza difficoltà alcuna. Senza incontrare una contestazione massiccia da parte dei cittadini che di fatto sono sempre più privati dei propri diritti lavorativi.
Ebbene il procedimento è molto semplice.
Se un tempo la politica si esponeva con espressioni forti, in molti casi poco concilianti, in alcuni provocando addirittura torture, Tortura: come sancito dalla Corte Europea sui diritti dell'uomo in merito del blitz avvenuto alla scuola Diaz nel 2001 durante il G8 di Genova. 
Oggi tutto ciò si relaziona con un linguaggio incentrato su ciò che è politicamente corretto, ma di fatto con un livello repressivo ben più alto. Il tutto, purtroppo, con un altissimo consenso.
Veniamo ora a quanto sta accadendo a Rimini che in questi giorni ha modo di essere monito per molti e diamo un paio di cenni per contestualizzare la situazione.
Casa Madiba occupa con famiglie, in emergenza abitativa, ed artisti, uno stabile comunale. Il Comune di Rimini gli propone di uscire, di ristrutturare lo stabile e di partecipare al bando che avrebbe creato apposta, al quale avrebbero avuto accesso tante altre associazioni, ma facendogli capire che glielo avrebbe dato in concessione diretta (politicaly correct n.1). Casa Madiba risponde con un serenissimo “no”. Perché dopo anni di promesse disattese la fiducia è venuta a mancare; ma poi, anche se fosse ancora in vita quel patto che dovrebbe esserci fra cittadini e amministrazioni comunali, in ogni caso l’assegnazione diretta avrebbe reso il bando l’ennesima farsa. Arriva così lo sgombero con botte e denunce e di nuovo le famiglie sono senza una casa, per la strada.
Casa Madiba e gli artisti che la seguono, insieme alle famiglie occupano un altro spazio, una vecchia casa di una contessa che lasciò con il suo testamento la casa al Comune a patto che all’interno si creassero attività rivolte al sociale. In tutta risposta il Comune la lascia disoccupata per almeno otto anni. E per rimarcare la menzogna millantata con la proposta del bando sull’altro spazio, il sindaco risponde con una forte pressione alla Prefettura richiedendo di sgomberare anche la nuova casa occupata.
Questo sindaco però è uno che ha fatto del politicaly correct la sua vocazione, come del resto quello di Torino o di Milano ad esempio, ed in collaborazione con il Festival Santarcangelo, famoso in tutta Italia per i suoi spettacoli di teatro, decide di organizzare una rassegna al Cinema Astoria di ben dieci giorni, così da poterlo riaprire a tutta la cittadinanza, dice lui (politicaly correct n.2).  
E invece quel cinema non sarà per la cittadinanza tutta, bensì verrà assegnato alla direttrice del Festival Santarcangelo, alla compagnia teatrale Motus e al centro di produzione L’Arboreto di Mondaino. I quali senza dubbio costruiranno iniziative per i cittadini, ma di fatto lo spazio rimarrà chiuso alle politiche gestionali di una direzione artistica composta da un numero irrisorio di persone, rispetto a quelle che si contano a Rimini.
E le famiglie di Casa Madiba? E quegli artisti che creavano in quei luoghi occupati e liberati dall’incuria e dal degrado per essere riutilizzati da chi aveva un bisogno reale?
Loro hanno deciso di costruire una Taz (zona temporaneamente autonoma) per sottolineare quanto sia illogico sgomberare le persone da spazi comunali dimenticati dalla stessa amministrazione e al contempo parlare di riapertura di spazi per i cittadini.
Ricapitoliamo: da una parte il Comune di Rimini si fa promotore della riapertura di spazi alla città e dall’altra si fa promotore di sgomberi.
Anche a noi sembra un controsenso, senza stupirci troppo però, siamo diventati dei buoni osservatori della comunicazione renziana che dice tutto e fa il contrario di tutto.
Purtroppo le problematiche sono tante e in tutta Italia sono sempre di più, ma i livelli su cui le situazioni e le realtà ruotano sono sempre gli stessi, che ogni volta ritornano: costruzione del consenso di massa, vendita del patrimonio artistico e culturale con annessa distruzione dell’articolo 9 della Costituzione, corruzione politica e distruzione dei territori.
Noi pensiamo che il meccanismo sia ben congegnato e per niente lasciato al caso.
A Rimini stiamo assistendo al primo punto da noi citato: la costruzione del consenso di massa.
Ma il disegno è ben più ampio di quanto sta avvenendo a Rimini. La volontà è di inglobare il dissenso con il fine di sedarlo ed eliminarlo, il tutto per riuscire a far passare riforme come “jobs act” e “buona scuola” o di poter continuare a portare avanti grandi opere come Tav o Expo. Le prime distruggono i diritti dei lavoratori e coltivano nuove generazioni di cervelli senza critica, mentre le seconde permettono che il flusso economico delle casse dello Stato si dilegui in quelle che sono di fatto delle Maxi Tangenti.

Che cosa ci resta vi chiederete. La determinazione e la voglia di continuare a fare lotta, a produrre dissenso in modo reale. A mostrare che non c’è stata riappacificazione alcuna. Che non si è affatto soddisfatti che vengano riaperti dei luoghi e dati in gestione a pochi, per poi allo stesso tempo cercare di nascondere l’alto tasso di emergenza abitativa.

Come dire si possono anche controllare i mass media tanto da far produrre informazione condizionata, il problema però è che sotto al tappeto si potrà anche nascondere la sporcizia, ma non di sicuro le persone con le loro necessità, i loro diritti e la loro voglia di creare collettività e comunità diverse. 

(Torino, Giugno 2015)

Thursday 16 July 2015

WHAT FOR? > contributi - Lettera di Bifo
















Lettera di Franco Berardi Bifo

(...) Sinceramente parlando, credo che dovremmo fermarci a riflettere. 
Intendimi bene, sono del tutto solidale con quello che farete (qualsiasi cosa facciate) il 26 27 28. E non credo che le lotte disperate frammentarie di questi mesi si possano fermare.
Il corpo fisico della società, colpito dall'austerità, dalla miseria, dagli sgomberi, dalla violenza poliziesca, reagisce rabbiosamente. Disperatamente, perché non c'è speranza nelle lotte di questi anni. Non c'è speranza, non c'è strategia non c'è solidarietà.
Gli sfrattati reagiscono agli sfratti, gli insegnanti alla legge di privatizzazione di Renzi, gli operai licenziati di una fabbrica reagiscono al licenziamento ma quelli della fabbrica accanto stanno zitti, in attesa che il licenziamento arrivi anche da loro. E alla fine tutti perdono.

E' l'effetto della precarietà generalizzata: ciascuno è solo, e pensa alla sua condizione. Ciascuno compete con i suoi colleghi. Non esistono compagni, solo concorrenti.
Il mio non è un discorso moralistico, meno che mai un discorso nostalgico. Riconosco che la composizione sociale è mutata in tal modo che il modello della solidarietà, della lotta unitaria, della strategia comune non si può realizzare. E allora ogni volta che siamo colpiti siamo soli, e l'intensità della nostra risposta è disperata.

Negli ultimi mesi del 2014 ho fatto un viaggio in California e in Messico, e ho incontrato gruppi di studenti, di poeti, di militanti - con i quali ho progettato un'azione di comunicazione che si chiamava urgeurge.
Il progetto si è rapidamente sgretolato, perché non esiste più Internet esiste solo Facebook, e anche perché dei cinquanta giovani compagni coi quali avevo parlato durante il mio viaggio solo due o tre hanno continuato a collaborare al progetto.
Io so bene che il problema di tutti è quello di sopravvivere, per cui l'entusiasmo per un progetto svanisce presto quando ci si trova a fare i conti con l'isolamento della vita quotidiana.

E allora? Allora non credo che ci sarà modo di fermare l'offensiva nazi-liberista per la semplice ragione che quell'offensiva è già passata, tutta. Ora siamo solo agli ultimi ritocchi, e poi la società continuerà a impoverirsi, e la gente a disperarsi nell'isolamento, e i ragazzi a impiccarsi.
Questo è. Non possiamo fare altro che analizzare, capire, descrivere.
E poi?
Cosa si fa quando non c'è più niente da fare, quando la composizione sociale e il ricatto economico e la depressione psichica rendono impossibile ogni processo di soggettivazione cosciente e collettiva?
Questa è la domanda da porsi.
La mia risposta è che solo la guerra ormai può creare le condizioni di un processo nuovo. La guerra, il trauma.
Da molto tempo sono convinto del fatto che la Jugoslavia degli anni '90 è il modello del continente europeo alla fine di questo decennio. La guerra ai migranti, la guerra tra diversi paesi sulla questione migrante, la guerra ucraina, presto la guerra greca, e la guerra ungherese, e la guerra turca... tutto questo si va saldando in un fronte generale di guerra civile europea che dobbiamo saper leggere dietro le apparenze di una vita quotidiana ancora tranquilla.
La questione è la stessa questione che Lenin affrontò dopo il 1914: trasformare la guerra imperialista in guerra civile rivoluzionaria. Ma i termini del problema sono tutti mutati: diversi sono gli armamenti, diversi gli attori, diversi i fronti, diversa la posta.
Dobbiamo comunque abbandonare le illusioni, abbandonare l'illusione di una ripresa economica, abbandonare l'illusione che esista una sinistra, abbandonare l'illusione che sia possibile mantenere quel poco di pace che ci sembra ancora di avere.
Dobbiamo prepararci alla guerra, perché non vi è più altro orizzonte.

Ma non basta. Occorre anche sapere che il territorio su cui il processo di autonomia può riaprirsi non sarà simmetrico a quello della guerra. Non si tratta di procurarsi armi, di imparare a sparare. A chi, poi?
Il processo di liberazione si svolgerà interamente sul terreno della tecnologia, del lavoro cognitivo e della sovversione del paradigma lavorista. La liberazione dal lavoro salariato, la riprogrammazione della macchina intellettiva globale, la redistribuzione globale della ricchezza.
Questo è il terreno su cui si dovranno convocare le forze dell'intelligenza collettiva. Ma solo a partire della guerra si riaprono le condizioni perché un simile processo possa diventare efficace.

Un abbraccio a Franca di Bertinoro, e un saluto a tutti i compagni che saranno a Rimini per dire ai collaborazionisti democratici che il loro cinismo non basterà a salvarli, perché l'apocalisse è più potente delle banche. E abbiamo la memoria molto lunga.